sabato 30 maggio 2020

#STEP 21- INNOVAZIONE SECONDO L'ETICA

«Il digitale ha stimolato un livello di interesse inedito per l’etica ma in un’ottica diversa rispetto al passato. Non è tanto l’interesse ad avere un faro che indichi semplicemente quando non fare una cosa o un’altra, quanto la ricerca di un’etica propositiva e abilitante. Che aiuti cioè a capire cosa si può fare e se è bene farlo. Lo sviluppo tecnologico ha aperto un mare di possibilità davanti a noi, non si tratta più di andare avanti o indietro bensì di capire dove andare. Ed è un cambio radicale perché se c’è maggiore apertura c’è più scelta e quindi più bisogno di etica»

A tratteggiare così il legame sempre più stretto che unisce l’etica e
l’innovazione è Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia
Luciano Floridi
e di Etica dell’Informazione nonché direttore del
Digital Ethics Lab all’Università di Oxford


«Non c’è etica senza innovazione, né innovazione senza etica», ha sintetizzato commentando il Thinker Award nella categoria “Ethics” ricevuto da Ibm per il contributo alla ricerca su questi temi. Ed è sciogliendo i nodi di questo messaggio che le proporzioni della questione si fanno ancor più chiare.

Indubbiamente dare forma e sostanza a un tema così complesso non è semplice. Chiedersi se abbia davvero senso attribuire all'innovazione un carattere di bontà o negatività, come facciamo con l’essere umano, può essere un buon inizio.


 «La tecnologia è sì uno strumento, ma siamo noi a darle un valore. Posso servirmi di un coltello per tagliare il pane o uccidere una persona, ma il coltello per spalmare il burro è diverso dal coltello da combattimento. Ciò significa che la neutralità e la dualità possono essere orientate positivamente fin dal principio — sottolinea Floridi — In questo senso la tecnologia digitale appare molto più orientata a migliorarci la vita che a rovinarcela, nel senso che sostiene ciò che abbiamo già e consente di fare ciò che finora non era possibile».


La distinzione della buona innovazione resta comunque un’opera tutt’altro che semplice. Non esiste uno standard di definizione o qualcosa di simile, ma qualcosa si può fare: «Se vogliamo distinguere un’azienda buona da una cattiva in termini di impatto ambientale misuriamo la sostenibilità. Nel mondo digitale non c’è

ancora un parametro equivalente — rileva Floridi — Tuttavia, possiamo farci le domande giuste per separare good tech e bad tech, chiedendoci se una tecnologia sia innanzitutto socialmente accettabile e poi se sia socialmente preferibile»

L’esperto ci tiene però a uscire fuori dalla mera logica di buoni e cattivi: «C’è anche una questione di raffinazione delle sensibilità. Alcuni comportamenti che fino a qualche decennio fa erano socialmente accettati o comunque tollerati, come buttare un mozzicone di sigaretta in spiaggia, oggi urterebbero quasi tutti. Non è che eravamo cattivi e siamo diventati buoni, siamo semplicemente più sensibili a certi comportamenti.

L’etica può essere un antidoto al digital gap del pianeta. E deve esserlo perché le fratture in termini di innovazioni non sono senza conseguenze. Anche solo ragionando in termini di convenienza la polarizzazione del mondo non conviene a nessuno. Se poi indossiamo gli occhiali dell’etica il quadro si fa ancor più ingiusto: essere nato in un luogo sfortunato non può tagliarmi fuori dal progresso».

Fonti: https://www.repubblica.it/dossier/tecnologia/onlife/2019/09/11/news/luciano_floridi-235773549/
https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2020/03/Luciano-Floridi-Interpretare-il-reale--9d433d24-98b7-4643-af50-e561893f37f4.html
https://www.youtube.com/watch?v=vVp0SHqDEwY

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